#19: 5 Riflessioni da Miami
Il lookbook di Valentino, la tragedia del Pitti x2, Chanel post-Viard e la Mostra del Met.
La mia newsletter ti arriva ancora dall’America, ma non da New York.
La tappa successiva alla giungla di cemento in cui tutto sembra possibile è Miami. Qui, il livello stilistico delle persone è insensibile quanto un pavimento di linoleum, ma è comunque rigenerante respirare l’infinita libertà con cui si vestono. Al netto dei turisti - soprattutto europei - che si agghindano a festa con abiti firmati e molto riconoscibili a tal punto da chiedermi se sono a Miami o a Dubai, viste le ciabattine di Hermès che camminano da sole, gli americani sfoggiano volgarmente tutta l’armeria in loro possesso con estrema naturalezza. Li invidio. Sono assurdamente disinibiti a tal punto da conquistarti. Le donne poi seguono alla lettera quel dogma zuccherino tanto conosciuto sui social per cui se ti piaci piacerai anche agli altri. Sfilano su Ocean Drive come fossero gli angeli di Victoria’s Secret e tu non puoi che ammirarle per la disinvoltura con cui indossano quelle reti da pesca trasformate in tutine sfilacciate di discutibile gusto.
Forse è la mia deformazione professionale di mancata antropologa, ma amo viaggiare anche per questo. Osservo e immagino tutto quello che ha portato oggi la signora Savannah a credere che la sua tutina in poliestere, che non starebbe bene neanche ad Alessandra Ambrosio, in fondo le dona tantissimo. Penso che magari è nata in un paese libero, dove nessuno giudica il vestire altrui, ma che poi sia stata la sua multiculturalità a renderla fiera del suo corpo, tanto apprezzato dagli uomini del suo stesso paese, e che una buona dose di chissenefrega abbia fatto il resto. Amo tutto. Starei a guardarle per ore. E condivido qualche foto per rendervi partecipi dello spettacolo agrodolce che vedo qui ogni sera:
Sui social tornerò su questo argomento e su tanti altri che sto finendo di editare sotto forma di post e video. Ora, però, vorrei passare allo sport più bello del mondo: commentare alcuni aspetti che hanno tenuto banco nei giorni passati.
Nel menù del giorno:
Alessandro Michele e la collezione a sorpresa tra sdegno e compiacimento
Pitti Uomo e i risultati semi-deludenti
Pitti Bimbo e le vendite a picco
Tempo di Haute Couture: chi ha disegnato Chanel dopo Viard?
La mostra del Costume Institute al Met
Alessandro Michele e la collezione a sorpresa tra sdegno e compiacimento
Stavamo concentrando le nostre forze sulla 106ª edizione del Pitti, quando Alessandro Michele, fresco di pubblicazione di un saggio aulico tra moda e filosofia di cui potete vedere qui il riassunto, è inaspettatamente piombato sulle scene con un nutrito lookbook di ciò che sarà Valentino a partire da settembre.
Il lookbook, composto da 171 look e 93 immagini di accessori, s’intitola Avant Le Début come a dare un assaggio del lavoro che l’ex Gucci sta facendo da quando è stato chiamato al civico 22 di Piazza Mignanelli a Roma. A un primo sguardo si comprende l’immaginario opulento da cui attinge, fatto di epoche e stili cari a Valentino Garavani.
“Ciò che vedete è il mio incontro con lui, sono le mie mani e i miei occhi che abitano l’atelier”
Il lookbook sembra una crasi perfetta tra vintage e contemporaneità che scava negli anni Settanta e Ottanta della maison romana, riedificandosi in qualcosa di più attuale, qualcuno direbbe più commerciale, visti i tempi in cui stiamo vivendo. C’è chi ha apprezzato la collezione e chi, già diffidente dei lavori fatti in casa Kering, ha sentenziato che si trattasse di un Gucci by Michele già visto e rivisto.
Cosa ne penso? Più che un Valentino firmato Gucci, è un Valentino firmato Michele. La sua visione si adatterà a qualsiasi maison per cui sarà chiamato a lavorare. Ritengo, piuttosto, di convenire con chi pensa che sia molto commerciale. Difetto? Certamente per i puristi della moda lo è. Chi non amava le collezioni sognanti che erano la perfetta balance tra creatività e business? Erano, ahimè, anni diversi. Oggi stiamo vivendo un punto di non ritorno in cui la vendibilità è la condicio sine qua non per affermare l’importanza di una maison e, di conseguenza, del suo conglomerato di appartenenza. Tradotto: se Michele vende rimane, altrimenti il conglomerato Mayhoola lo sostituirà con un altro stilista.
Tralasciando la vendibilità, che ha fatto la fortuna di Gucci dal 2015 al 2022 portando il fatturato del marchio da 3,5 miliardi di euro a 10, mi sento di dissentire con chi pensa che Michele rovinerà Valentino. Innanzitutto, molti sono ancorati all’immagine di un Valentino by Piccioli, ma il brand fondato nel 1959 ha una storia ben più lunga. Prima delle borchie e dei vestiti pink di Piccioli, la visione di Garavani era intrisa di significati e significanti, e per chi non lo sapesse, aveva molti punti in comune con quella attuale di Michele. Li avevo elencati qui il 30 marzo scorso.
Senza dilungarmi troppo, penso che bisognerebbe dare spazio e fiducia a chi non ha ancora avuto tempo di esprimersi. Alessandro Michele sta compiendo il suo inevitabile viaggio all’interno degli archivi e di se stesso. Ogni nuovo incarico significa nuove sfide, nuove incognite e nuovi risultati. Difficile dare sentenze senza la totalità dei fatti. Meglio quindi aspettare settembre, o forse anche febbraio prossimo (perché una collezione non fa primavera) per capire se la strada intrapresa è quella giusta.
Pitti Uomo e i risultati semi-deludenti
Pitti Uomo (11-14 giugno) è un evento sacro, concepito per esaltare l’eccellenza italiana nel mondo, mantenendo saldo quel filo invisibile ma resistente che collega ancora la nascita della moda italiana avventa nel 1951 a Firenze con l’attenzione nazionale e internazionale per le novità nel settore uomo.
Secondo l'amministratore delegato Raffaello Napoleone, i risultati al termine della manifestazione sono molto positivi. Con un calendario ricco di eventi in Fortezza da Basso e in città, i visitatori sono stati circa 15.000, di cui circa 11.500 compratori, con una significativa presenza straniera (45%). L’interesse proveniente da Germania, Olanda e altri mercati dell’Europa centro-settentrionale è aumentato, mentre quello da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti si è mantenuto come negli anni passati. Tuttavia, preoccupa la significativa diminuzione dei visitatori italiani (- 7%), a causa della chiusura di numerosi negozi negli ultimi anni post-pandemia e della scarsa dinamicità dei consumi interni.
Cosa ne penso? Sono sicura che l’alto interesse manifestato sia dovuto alla partecipazione di nomi importanti (molti dei quali stranieri e non italiani!!!) come Paul Smith che ha inaugurato l’evento, come Marine Serre che ha presentato l’attesa collezione, come Plan C che ha debuttato nel menswear, e come Pierre-Louis Mascia che ha mostrato la sua primissima collezione. Tuttavia, se l’Italia non riuscirà a risolvere le attuali difficoltà entro la prossima edizione, l’attenzione verso l’evento potrebbe diminuire, imbattendosi pericolosamente sull’immagine della moda nazionale e sui vari benefici ad essa associati. Organizzare un evento in Italia (a Firenze dove soffrono i fornitori delle grandi e medie griffe) in cui le aziende italiane partecipano poco rappresenta un segno di grande debolezza anche agli occhi dei compratori stranieri (perché loro non soffrono come noi?).
PROBLEMA DEI CONSUMI INTERNI IN ITALIA:
Pochi espositori = pochi acquisti dei buyer = pochi prodotti italiani nei negozi = indebolimento a lungo termine del sistema italiano nel suo complesso.
Gli organizzatori del Pitti chiedono pazienza e fiducia, ma è chiaro che sono necessari sforzi straordinari da parte delle rappresentanze imprenditoriali, del governo italiano e delle istituzioni europee. O sarà un disastro.
Pitti Bimbo e le vendite a picco
Da calendario, Pitti Uomo cede il passo a Pitti Bimbo. Se il primo ha registrato risultati scoraggianti, il secondo ha sancito la morte agonizzante dell’evento che quest’anno compiva 99 anni.
In Fortezza da Basso tra il 19 e il 21 giugno sono arrivati circa 1200 compratori interessati alle collezioni primavera/estate 2025. La metà di loro (il 48% per esattezza) proveniva dall’estero, principalmente da Regno Unito, Cina e Spagna. Il dato che scoraggia è certamente quello dei 1500 visitatori complessivi rispetto ai 3000 dello scorso anno.
Sebbene le dimensioni fossero più contenute rispetto al passato, è chiaro che il mercato poco dinamico dell’Italia abbia inciso sull’andamento generale dell’evento. La delicata situazione del settore - che registra una contrazione dei consumi interni e una crescita delle catene di abbigliamento a discapito dei negozi indipendenti - si è dunque riflessa sul Pitti. Il prossimo anno si festeggerà la 100ª edizione, ma bisognerà rivedere la sua natura perché l’abbigliamento bimbo soffre una crisi più profonda rispetto a quello adulto.
Cosa ne penso? Stanno cambiando le abitudini di acquisto da parte delle nuove generazioni di genitori, spesso alla ricerca di prodotti fast fashion ed economici. Difficile pensare a un cambio di direzione repentino perché se mettere al mondo un figlio è ormai un atto di coraggio ai minimi storici intrapreso da pochi coraggiosi, acquistare abitini si riduce a mero bisogno essenziale che spesso non richiede alti contenuti di stile ed eticità. È ciò su cui si può risparmiare di più, a fronte di spese necessarie come cibo, scuole o attività extra.
Il settore può certamente pensare di aumentare l’attenzione nei suoi confronti, valorizzando il know-how stilistico e produttivo delle aziende specializzate e organizzando eventi paralleli a sostegno del Pitti. Ma potrebbe comunque non bastare.
La stagione dell’HC: chi ha disegnato Chanel dopo Viard?
Dopo le Resort, è ora il momento delle collezioni di Alta Moda, quelle che raccontano l’eccellenza e l’artigianalità delle poche maison elitarie capaci ancora di investire centinaia di migliaia di euro per realizzare veri e propri show spettacolari.
Chanel ha rotto gli indugi portando la sua collezione post-Viard all’Opéra Garnier. Molti si sono chiesti chi l’avesse disegnata perché sembrava già diversa dalle collezioni precedenti.
Cosa ne penso? È pressoché impossibile che il team creativo orfano di Virginie abbia messo in piedi una collezione simile in tre settimane. È chiaro che tutto sia stato pensato e progettato con lei mesi fa. Chi ha pensato che qualcosa di diverso già si vedesse ha straparlato. Nessuna modifica: l’estetica era sempre la stessa.
La mostra del Costume Institute al Met
Puoi seguirmi su Instagram, dove a breve recensirò la mostra del Costume Institute di New York e tante altre tappe del mio viaggio incentrato sulla moda americana.
Cosa ne penso? La mostra contiene chiaramente pezzi meravigliosi (sarebbe strano il contrario visto l’archivio prezioso) ma la progettazione degli spazi e l’attesa infinita non l’hanno resa così interessante come pensavo. Come si era già appreso in occasione del Met Gala, il tema è stato una trovata dell’ultimo momento per sostituire quello iniziale. L'’impressione è che anche la mostra fosse stata organizzata all’ultimo minuto, senza troppo impegno.
Buon weekend e grazie se siete arrivati fino a qui.
A sabato prossimo!
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È sempre un piacere leggerti!! Ogni articolo è ricco di contenuti ben pensati e ragionati, di riflessione lasciate al lettore basate su oggettività e realismo. Come sempre una bomba!!!!